Orlando furioso – Canto IV

furioso

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1

Quantunque il simular sia le più volte

ripreso, e dia di mala mente indici,

si truova pur in molte cose e molte

aver fatti evidenti benefici,

e danni e biasmi e morti aver già tolte;

che non conversiam sempre con gli amici

in questa assai più oscura che serena

vita mortal, tutta d’invidia piena.

2

Se, dopo lunga prova, a gran fatica

trovar si può chi ti sia amico vero,

et a chi senza alcun sospetto dica

e discoperto mostri il tuo pensiero;

che de’ far di Ruggier la bella amica

con quel Brunel non puro e non sincero,

ma tutto simulato e tutto finto,

come la maga le l’avea dipinto?

3

Simula anch’ella; e così far conviene

con esso lui di finzïoni padre;

e, come io dissi, spesso ella gli tiene

gli occhi alle man, ch’eran rapaci e ladre.

Ecco all’orecchie un gran rumor lor viene.

Disse la donna: – O glorïosa Madre,

o Re del ciel, che cosa sarà questa? –

E dove era il rumor si trovò presta.

4

E vede l’oste e tutta la famiglia,

e chi a finestre e chi fuor ne la via,

tener levati al ciel gli occhi e le ciglia,

come l’ecclisse o la cometa sia.

Vede la donna un’altra maraviglia,

che di leggier creduta non saria:

vede passar un gran destriero alato,

che porta in aria un cavalliero armato.

5

Grandi eran l’ale e di color diverso,

e vi sedea nel mezzo un cavalliero,

di ferro armato luminoso e terso;

e vêr ponente avea dritto il sentiero.

Calossi, e fu tra le montagne immerso:

e, come dicea l’oste (e dicea il vero),

quel era un negromante, e facea spesso

quel varco, or più da lungi, or più da presso.

6

Volando, talor s’alza ne le stelle,

e poi quasi talor la terra rade;

e ne porta con lui tutte le belle

donne che trova per quelle contrade:

talmente che le misere donzelle

ch’abbino o aver si credano beltade

(come affatto costui tutte le invole)

non escon fuor sì che le veggia il sole.

7

– Egli sul Pireneo tiene un castello

(narrava l’oste) fatto per incanto,

tutto d’acciaio, e sì lucente e bello,

ch’altro al mondo non è mirabil tanto.

Già molti cavallier sono iti a quello,

e nessun del ritorno si dà vanto:

sì ch’io penso, signore, e temo forte,

o che sian presi, o sian condotti a morte. –

8

La donna il tutto ascolta, e le ne giova,

credendo far, come farà per certo,

con l’annello mirabile tal prova,

che ne fia il mago e il suo castel deserto;

e dice a l’oste: – Or un de’ tuoi mi trova,

che più di me sia del vïaggio esperto;

ch’io non posso durar, tanto ho il cor vago

di far battaglia contra a questo mago. –

9

– Non ti mancherà guida (le rispose

Brunello allora), e ne verrò teco io:

meco ho la strada in scritto, et altre cose

che ti faran piacere il venir mio. –

Vòlse dir de l’annel; ma non l’espose

né chiarí più, per non pagarne il fio.

– Grato mi fia (disse ella) il venir tuo; –

volendo dir ch’indi l’annel fia suo.

10

Quel ch’era utile a dir disse; e quel tacque,

che nuocer le potea col Saracino.

Avea l’oste un destrier ch’a costei piacque,

ch’era buon da battaglia e da camino:

comperollo e partissi come nacque

del bel giorno seguente il matutino.

Prese la via per una stretta valle,

con Brunello ora inanzi, ora alle spalle.

11

Di monte in monte e d’uno in altro bosco

giunseno ove l’altezza di Pirene

può dimostrar, se non è l’aer fosco,

e Francia e Spagna e due diverse arene,

come Apennin scopre il mar schiavo e il tòsco

del giogo onde a Camaldoli si viene.

Quindi per aspro e faticoso calle

si discendea ne la profonda valle.

12

Vi sorge in mezzo un sasso che la cima

d’un bel muro d’acciar tutta si fascia;

e quella tanto inverso il ciel sublima,

che quanto ha intorno, inferïor si lascia.

Non faccia, chi non vola, andarvi stima;

che spesa indarno vi saria ogni ambascia.

Brunel disse: – Ecco dove prigionieri

il mago tien le donne e i cavallieri. –

13

Da quattro canti era tagliato, e tale

che parea dritto a fil de la sinopia.

Da nessun lato né sentier né scale

v’eran, che di salir facesser copia:

e ben appar che d’animal ch’abbia ale

sia quella stanza nido e tana propia.

Quivi la donna esser conosce l’ora

di tor l’annello e far che Brunel mora.

14

Ma le par atto vile a insanguinarsi

d’un uom senza arme e di sì ignobil sorte;

che ben potrà posseditrice farsi

del ricco annello, e lui non porre a morte.

Brunel non avea mente a riguardarsi;

sì ch’ella il prese, e lo legò ben forte

ad uno abete ch’alta avea la cima:

ma di dito l’annel gli trasse prima.

15

Né per lacrime, gemiti o lamenti

che facesse Brunel, lo vòlse sciorre.

Smontò de la montagna a passi lenti,

tanto che fu nel pian sotto la torre.

E perché alla battaglia s’appresenti

il negromante, al corno suo ricorre:

e dopo il suon, con minacciose grida

lo chiama al campo, et alla pugna ‘l sfida.

16

Non stette molto a uscir fuor de la porta

l’incantator, ch’udì ‘l suono e la voce.

L’alato corridor per l’aria il porta

contra costei, che sembra uomo feroce.

La donna da principio si conforta,

che vede che colui poco le nuoce:

non porta lancia né spada né mazza,

ch’a forar l’abbia o romper la corazza.

17

Da la sinistra sol lo scudo avea,

tutto coperto di seta vermiglia;

ne la man destra un libro, onde facea

nascer, leggendo, l’alta maraviglia:

che la lancia talor correr parea,

e fatto avea a più d’un batter le ciglia;

talor parea ferir con mazza o stocco,

e lontano era, e non avea alcun tocco.

18

Non è finto il destrier, ma naturale,

ch’una giumenta generò d’un grifo:

simile al padre avea la piuma e l’ale,

li piedi anterïori, il capo e il grifo;

in tutte l’altre membra parea quale

era la madre, e chiamasi ippogrifo;

che nei monti Rifei vengon, ma rari,

molto di là dagli aghiacciati mari.

19

Quivi per forza lo tirò d’incanto;

e poi che l’ebbe, ad altro non attese,

e con studio e fatica operò tanto,

ch’a sella e briglia il cavalcò in un mese:

così ch’in terra e in aria e in ogni canto

lo facea volteggiar senza contese.

Non finzïon d’incanto, come il resto,

ma vero e natural si vedea questo.

20

Del mago ogn’altra cosa era figmento;

che comparir facea pel rosso il giallo:

ma con la donna non fu di momento;

che per l’annel non può vedere in fallo.

Più colpi tuttavia diserra al vento,

e quinci e quindi spinge il suo cavallo;

e si dibatte e si travaglia tutta,

come era, inanzi che venisse, instrutta.

21

E poi che esercitata si fu alquanto

sopra il destrier, smontar vòlse anco a piede,

per poter meglio al fin venir di quanto

la cauta maga instruzïon le diede.

Il mago vien per far l’estremo incanto;

che del fatto ripar né sa né crede:

scuopre lo scudo, e certo si prosume

farla cader con l’incantato lume.

22

Potea così scoprirlo al primo tratto,

senza tenere i cavallieri a bada;

ma gli piacea veder qualche bel tratto

di correr l’asta o di girar la spada:

come si vede ch’all’astuto gatto

scherzar col topo alcuna volta aggrada;

e poi che quel piacer gli viene a noia,

dargli di morso, e al fin voler che muoia.

23

Dico che ‘l mago al gatto, e gli altri al topo

s’assimigliâr ne le battaglie dianzi;

ma non s’assimigliâr già così, dopo

che con l’annel si fe’ la donna inanzi.

Attenta e fissa stava a quel ch’era uopo,

acciò che nulla seco il mago avanzi;

e come vide che lo scudo aperse,

chiuse gli occhi, e lasciò quivi caderse.

24

Non che il fulgor del lucido metallo,

come soleva agli altri, a lei nocesse;

ma così fece acciò che dal cavallo

contra sé il vano incantator scendesse:

né parte andò del suo disegno in fallo;

che tosto ch’ella il capo in terra messe,

accelerando il volator le penne,

con larghe ruote in terra a por si venne.

25

Lascia all’arcion lo scudo, che già posto

avea ne la coperta, e a piè discende

verso la donna che, come reposto

lupo alla macchia il caprïolo, attende.

Senza più indugio ella si leva tosto

che l’ha vicino, e ben stretto lo prende.

Avea lasciato quel misero in terra

il libro che facea tutta la guerra:

26

e con una catena ne correa,

che solea portar cinta a simil uso;

perché non men legar colei credea,

che per adietro altri legare era uso.

La donna in terra posto già l’avea:

se quel non si difese, io ben l’escuso;

che troppo era la cosa differente

tra un debol vecchio e lei tanto possente.

27

Disegnando levargli ella la testa,

alza la man vittorïosa in fretta;

ma poi che ‘l viso mira, il colpo arresta,

quasi sdegnando sì bassa vendetta:

un venerabil vecchio in faccia mesta

vede esser quel ch’ella ha giunto alla stretta,

che mostra al viso crespo e al pelo bianco,

età di settanta anni o poco manco.

28

– Tommi la vita, giovene, per Dio, –

dicea il vecchio pien d’ira e di dispetto;

ma quella a torla avea sì il cor restio,

come quel di lasciarla avria diletto.

La donna di sapere ebbe disio

chi fosse il negromante, et a che effetto

edificasse in quel luogo selvaggio

la ròcca, e faccia a tutto il mondo oltraggio.

29

– Né per maligna intenzïone, ahi lasso!

(disse piangendo il vecchio incantatore)

feci la bella ròcca in cima al sasso,

né per avidità son rubatore;

ma per ritrar sol dall’estremo passo

un cavallier gentil, mi mosse amore,

che, come il ciel mi mostra, in tempo breve

morir cristiano a tradimento deve.

30

Non vede il sol tra questo e il polo austrino

un giovene sì bello e sì prestante:

Ruggiero ha nome, il qual da piccolino

da me nutrito fu, ch’io sono Atlante.

Disio d’onore e suo fiero destino

l’han tratto in Francia dietro al re Agramante;

et io, che l’amai sempre più che figlio,

lo cerco trar di Francia e di periglio.

31

La bella ròcca solo edificai

per tenervi Ruggier sicuramente,

che preso fu da me, come sperai

che fossi oggi tu preso similmente;

e donne e cavallier, che tu vedrai,

poi ci ho ridotti, et altra nobil gente,

acciò che quando a voglia sua non esca,

avendo compagnia, men gli rincresca.

32

Pur ch’uscir di là su non si domande,

d’ogn’altro gaudio lor cura mi tocca;

che quanto averne da tutte le bande

si può del mondo, è tutto in quella ròcca:

suoni, canti, vestir, giuochi, vivande,

quanto può cor pensar, può chieder bocca.

Ben seminato avea, ben cogliea il frutto;

ma tu sei giunto a disturbarmi il tutto.

33

Deh, se non hai del viso il cor men bello,

non impedir il mio consiglio onesto!

Piglia lo scudo (ch’io tel dono) e quello

destrier che va per l’aria così presto;

e non t’impacciar oltra nel castello,

o tranne uno o duo amici, e lascia il resto;

o tranne tutti gli altri, e più non chero,

se non che tu mi lasci il mio Ruggiero.

34

E se disposto sei volermel tôrre,

deh, prima almen che tu ‘l rimeni in Francia,

piacciati questa afflitta anima sciorre

de la sua scorza ormai putrida e rancia! –

Rispose la donzella: – Lui vo’ porre

in libertà: tu, se sai, gracchia e ciancia;

né mi offerir di dar lo scudo in dono,

o quel destrier, che miei, non più tuoi sono:

35

né s’anco stesse a te di tôrre e darli,

mi parrebbe che ‘l cambio convenisse.

Tu di’ che Ruggier tieni per vietarli

il male influsso di sue stelle fisse.

O che non puoi saperlo, o non schivarli,

sappiendol, ciò che ‘l ciel di lui prescrisse:

ma se ‘l mal tuo, c’hai sì vicin, non vedi,

peggio l’altrui c’ha da venir prevedi.

36

Non pregar ch’io t’uccida, ch’i tuoi preghi

sariano indarno; e se pur vuoi la morte,

ancor che tutto il mondo dar la nieghi,

da sé la può aver sempre animo forte.

Ma pria che l’alma da la carne sleghi,

a tutti i tuoi prigioni apri le porte. –

Così dice la donna, e tuttavia

il mago preso incontra al sasso invia.

37

Legato de la sua propria catena

andava Atlante, e la donzella appresso,

che così ancor se ne fidava a pena,

ben che in vista parea tutto rimesso.

Non molti passi dietro se la mena,

ch’a piè del monte han ritrovato il fesso,

e li scaglioni onde si monta in giro,

fin ch’alla porta del castel saliro.

38

Di su la soglia Atlante un sasso tolle,

di caratteri e strani segni insculto.

Sotto, vasi vi son, che chiamano olle,

che fuman sempre, e dentro han foco occulto.

L’incantator le spezza; e a un tratto il colle

riman deserto, inospite et inculto;

né muro appar né torre in alcun lato,

come se mai castel non vi sia stato.

39

Sbrigossi dalla donna il mago alora,

come fa spesso il tordo da la ragna;

e con lui sparve il suo castello a un’ora,

e lasciò in libertà quella compagna.

Le donne e i cavallier si trovâr fuora

de le superbe stanze alla campagna:

e furon di lor molte a chi ne dolse;

che tal franchezza un gran piacer lor tolse.

40

Quivi è Gradasso, quivi è Sacripante,

quivi è Prasildo, il nobil cavalliero

che con Rinaldo venne di Levante,

e seco Iroldo, il par d’amici vero.

Al fin trovò la bella Bradamante

quivi il desiderato suo Ruggiero,

che, poi che n’ebbe certa conoscenza,

le fe’ buona e gratissima accoglienza;

41

come a colei che più che gli occhi sui,

più che ‘l suo cor, più che la propria vita

Ruggiero amò dal dì ch’essa per lui

si trasse l’elmo, onde ne fu ferita.

Lungo sarebbe a dir come, e da cui,

e quanto ne la selva aspra e romita

si cercâr poi la notte e il giorno chiaro;

né, se non qui, mai più si ritrovaro.

42

Or che quivi la vede, e sa ben ch’ella

è stata sola la sua redentrice,

di tanto gaudio ha pieno il cor, che appella

sé fortunato et unico felice.

Scesero il monte, e dismontaro in quella

valle, ove fu la donna vincitrice,

e dove l’ippogrifo trovaro anco,

ch’avea lo scudo, ma coperto, al fianco.

43

La donna va per prenderlo nel freno:

e quel l’aspetta fin che se gli accosta;

poi spiega l’ale per l’aer sereno,

e si ripon non lungi a mezza costa.

Ella lo segue: e quel né più né meno

si leva in aria, e non troppo si scosta;

come fa la cornacchia in secca arena,

che dietro il cane or qua or là si mena.

44

Ruggier, Gradasso, Sacripante, e tutti

quei cavallier che scesi erano insieme,

chi di su, chi di giú, si son ridutti

dove che torni il volatore han speme.

Quel, poi che gli altri invano ebbe condutti

più volte e sopra le cime supreme

e negli umidi fondi tra quei sassi,

presso a Ruggiero al fin ritenne i passi.

45

E questa opera fu del vecchio Atlante,

di cui non cessa la pietosa voglia

di trar Rugier del gran periglio instante:

di ciò sol pensa e di ciò solo ha doglia.

Però gli manda or l’ippogrifo avante,

perché d’Europa con questa arte il toglia.

Ruggier lo piglia, e seco pensa trarlo;

ma quel s’arretra, e non vuol seguitarlo.

46

Or di Frontin quel animoso smonta

(Frontino era nomato il suo destriero),

e sopra quel che va per l’aria monta,

e con li spron gli adizza il core altiero.

Quel corre alquanto, et indi i piedi ponta,

e sale inverso il ciel, via più leggiero

che ‘l girifalco, a cui lieva il capello

il mastro a tempo, e fa veder l’augello.

47

La bella donna, che sì in alto vede

e con tanto periglio il suo Ruggiero,

resta attonita in modo, che non riede

per lungo spazio al sentimento vero.

Ciò che già inteso avea di Ganimede

ch’al ciel fu assunto dal paterno impero,

dubita assai che non accada a quello,

non men gentil di Ganimede e bello.

48

Con gli occhi fissi al ciel lo segue quanto

basta il veder; ma poi che si dilegua

sì, che la vista non può correr tanto,

lascia che sempre l’animo lo segua.

Tuttavia con sospir, gemito e pianto

non ha, né vuol aver pace né triegua.

Poi che Ruggier di vista se le tolse,

al buon destrier Frontin gli occhi rivolse:

49

e si deliberò di non lasciarlo,

che fosse in preda a chi venisse prima;

ma di condurlo seco, e di poi darlo

al suo signor, ch’anco veder pur stima.

Poggia l’augel, né può Ruggier frenarlo:

di sotto rimaner vede ogni cima

et abbassarsi in guisa, che non scorge

dove è piano il terren né dove sorge.

50

Poi che sì ad alto vien, ch’un picciol punto

lo può stimar chi da la terra il mira,

prende la via verso ove cade a punto

il sol, quando col Granchio si raggira;

e per l’aria ne va come legno unto

a cui nel mar propizio vento spira.

Lasciànlo andar, che farà buon camino,

e torniamo a Rinaldo paladino.

51

Rinaldo l’altro e l’altro giorno scórse,

spinto dal vento, un gran spazio di mare,

quando a ponente e quando contra l’Orse,

che notte e dì non cessa mai soffiare.

Sopra la Scozia ultimamente sorse,

dove la selva Calidonia appare,

che spesso fra gli antiqui ombrosi cerri

s’ode sonar di bellicosi ferri.

52

Vanno per quella i cavallieri erranti,

incliti in arme, di tutta Bretagna,

e de’ prossimi luoghi e de’ distanti,

di Francia, di Norvegia e de Lamagna.

Chi non ha gran valor, non vada inanti;

che dove cerca onor, morte guadagna.

Gran cose in essa già fece Tristano,

Lancillotto, Galasso, Artù e Galvano,

53

et altri cavallieri e de la nuova

e de la vecchia Tavola famosi:

restano ancor di più d’una lor pruova

li monumenti e li trofei pomposi.

L’arme Rinaldo e il suo Baiardo truova,

e tosto si fa por nei liti ombrosi,

et al nochier comanda che si spicche

e lo vada aspettar a Beroicche.

54

Senza scudiero e senza compagnia

va il cavallier per quella selva immensa,

facendo or una et or un’altra via,

dove più aver strane aventure pensa.

Capitò il primo giorno a una badia,

che buona parte del suo aver dispensa

in onorar nel suo cenobio adorno

le donne e i cavallier che vanno attorno.

55

Bella accoglienza i monachi e l’abbate

fêro a Rinaldo, il qual domandò loro

(non prima già che con vivande grate

avesse avuto il ventre amplo ristoro)

come dai cavallier sien ritrovate

spesso aventure per quel tenitoro,

dove si possa in qualche fatto eggregio

l’uom dimostrar, se merta biasmo o pregio.

56

Risposongli ch’errando in quelli boschi,

trovar potria strane aventure e molte:

ma come i luoghi, i fatti ancor son foschi;

che non se n’ha notizia le più volte.

– Cerca (diceano) andar dove conoschi

che l’opre tue non restino sepolte,

acciò dietro al periglio e alla fatica

segua la fama, e il debito ne dica.

57

E se del tuo valor cerchi far prova,

t’è preparata la più degna impresa

che ne l’antiqua etade o ne la nova

giamai da cavallier sia stata presa.

La figlia del re nostro or se ritrova

bisognosa d’aiuto e di difesa

contra un baron che Lurcanio si chiama,

che tor le cerca e la vita e la fama.

58

Questo Lurcanio al padre l’ha accusata

(forse per odio più che per ragione)

averla a mezza notte ritrovata

trarr’un suo amante a sé sopra un verrone.

Per le leggi del regno condannata

al fuoco fia, se non truova campione

che fra un mese, oggimai presso a finire,

l’iniquo accusator faccia mentire.

59

L’aspra legge di Scozia, empia e severa,

vuol ch’ogni donna, e di ciascuna sorte,

ch’ad uom si giunga, e non gli sia mogliera,

s’accusata ne viene, abbia la morte.

Né riparar si può ch’ella non pèra,

quando per lei non venga un guerrier forte

che tolga la difesa, e che sostegna

che sia innocente e di morire indegna.

60

Il re, dolente per Ginevra bella

(che così nominata è la sua figlia),

ha publicato per città e castella,

che s’alcun la difesa di lei piglia,

e che l’estingua la calunnia fella

(pur che sia nato di nobil famiglia),

l’avrà per moglie, et uno stato, quale

fia convenevol dote a donna tale.

61

Ma se fra un mese alcun per lei non viene,

o venendo non vince, sarà uccisa.

Simile impresa meglio ti conviene,

ch’andar pei boschi errando a questa guisa:

oltre ch’onor e fama te n’aviene

ch’in eterno da te non fia divisa,

guadagni il fior di quante belle donne

da l’Indo sono all’Atlantee colonne;

62

e una ricchezza appresso, et uno stato

che sempre far ti può viver contento;

e la grazia del re, se suscitato

per te gli fia il suo onor, che è quasi spento.

Poi per cavalleria tu se’ ubligato

a vendicar di tanto tradimento

costei, che per commune opinïone,

di vera pudicizia è un paragone. –

63

Pensò Rinaldo alquanto, e poi rispose:

– Una donzella dunque dè’ morire

perché lasciò sfogar ne l’amorose

sue braccia al suo amator tanto desire?

Sia maladetto chi tal legge pose,

e maladetto chi la può patire!

Debitamente muore una crudele,

non chi dà vita al suo amator fedele.

64

Sia vero o falso che Ginevra tolto

s’abbia il suo amante, io non riguardo a questo:

d’averlo fatto la loderei molto,

quando non fosse stato manifesto.

Ho in sua difesa ogni pensier rivolto:

datemi pur un chi mi guidi presto,

e dove sia l’accusator mi mene;

ch’io spero in Dio Ginevra trar di pene.

65

Non vo’ già dir ch’ella non l’abbia fatto;

che nol sappiendo, il falso dir potrei:

dirò ben che non de’ per simil atto

punizïon cadere alcuna in lei;

e dirò che fu ingiusto o che fu matto

chi fece prima li statuti rei;

e come iniqui rivocar si denno,

e nuova legge far con miglior senno.

66

S’un medesimo ardor, s’un disir pare

inchina e sforza l’uno e l’altro sesso

a quel suave fin d’amor, che pare

all’ignorante vulgo un grave eccesso;

perché si de’ punir donna o biasmare,

che con uno o più d’uno abbia commesso

quel che l’uom fa con quante n’ha appetito,

e lodato ne va, non che impunito?

67

Son fatti in questa legge disuguale

veramente alle donne espressi torti;

e spero in Dio mostrar che gli è gran male

che tanto lungamente si comporti. –

Rinaldo ebbe il consenso universale,

che fur gli antiqui ingiusti e male accorti,

che consentiro a così iniqua legge,

e mal fa il re, che può, né la corregge.

68

Poi che la luce candida e vermiglia

de l’altro giorno aperse l’emispero,

Rinaldo l’arme e il suo Baiardo piglia,

e di quella badia tolle un scudiero,

che con lui viene a molte leghe e miglia,

sempre nel bosco orribilmente fiero,

verso la terra ove la lite nuova

de la donzella de’ venir in pruova.

69

Avean, cercando abbrevïar camino,

lasciato pel sentier la maggior via;

quando un gran pianto udîr sonar vicino,

che la foresta d’ogn’intorno empía.

Baiardo spinse l’un, l’altro il ronzino

verso una valle, onde quel grido uscía:

e fra dui mascalzoni una donzella

vider, che di lontan parea assai bella;

70

ma lacrimosa e addolorata quanto

donna o donzella o mai persona fosse.

Le sono dui col ferro nudo a canto,

per farle far l’erbe di sangue rosse.

Ella con preghi differendo alquanto

giva il morir, sin che pietà si mosse.

Venne Rinaldo; e come se n’accorse,

con alti gridi e gran minaccie accorse.

71

Voltaro i malandrin tosto le spalle,

che ‘l soccorso lontan vider venire,

e se appiattâr ne la profonda valle.

Il paladin non li curò seguire:

venne a la donna, e qual gran colpa dàlle

tanta punizïon, cerca d’udire;

e per tempo avanzar, fa allo scudiero

levarla in groppa, e torna al suo sentiero.

72

E cavalcando poi meglio la guata

molto esser bella e di maniere accorte,

ancor che fosse tutta spaventata

per la paura ch’ebbe de la morte.

Poi ch’ella fu di nuovo domandata

chi l’avea tratta a sì infelice sorte,

incominciò con umil voce a dire

quel ch’io vo’ all’altro canto differire.