Citazioni da: E cominciò la gran follia: L’Orlando furioso raccontato oggi

Orlando furioso

di Giorgio Baruzzi

>>> E cominciò la gran follia

Canto I

  • Così Orlando giunse al momento giusto, ma subito si pentì di esservi giunto. La sua donna gli fu tolta nella sua terra: ecco come il giudizio umano spesso erra! Colei che da Occidente a Oriente aveva difeso, ora gliela toglieva il saggio imperatore. Nata era infatti una contesa tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo, che entrambi avevano per lei l’animo caldo. Re Carlo, irritato da questa lite, che rendeva meno solido il loro aiuto, affidò la donzella al duca Namo di Baviera.
  • Erano rivali, erano di fede diversa, si sentivano dolenti in tutto il corpo per i tremendi colpi, ma per boschi oscuri e tortuosi sentieri andavano insieme senza sospetto.
  • La giovane verginella è simile alla rosa, che mentre riposa in un bel giardino, sola e sicura, protetta sullo stelo dalle spine, né gregge né pastore l’avvicina. L’aria dolce e l’alba rugiadosa, l’acqua, la terra si inchinano a lei, mentre giovani belli e donne innamorate amano averne i seni e le tempie ornate. Ma appena viene tolta dal suo materno stelo perde tutti i pregi che gli uomini le tributavano: finezza, grazia, bellezza.
  • Coglierò la fresca e mattutina rosa, che tardando a coglierla, perderebbe la sua freschezza. So bene che non si può fare a una donna cosa più soave e piacevole, anche se si mostra ritrosa: non lascerò che un rifiuto o un finto risentimento mi impediscano di portare a termine il mio intento.-

Canto II

  • Perfido Amore, che raramente fai corrispondere i nostri sentimenti, che ci allontani dall’amore corrisposto e ci trascini verso l’amore tormentato. Mi fai ritroso verso chi mi desidera, mentre vuoi che ami chi mi odia.

Canto IV

  • Sebbene fingere sia per lo più riprovevole e sia indizio di mente malvagia, in molte situazioni porta evidenti benefici ed evita danni. Non abbiamo sempre a che fare con amici nella nostra molto oscura vita mortale. Difficile è trovare un vero amico, cui poter confidare senza timore i nostri pensieri. 

Canto V

  • Che un uomo percuota una donna non è solo un gran male, ma un delitto contro la natura e contro Dio. Non è un uomo chi uccide una donna, ma un demone dall’aspetto umano.
  • Si possono udire le parole, si può vedere il volto, ma ci si può ingannare su quel che c’è nel cuore.

Canto VI

  • Miserabile colui che, facendo del male, si illude che il suo misfatto possa restare occulto, perché anche se ogni altro lo tace, grida l’aria e la terra stessa in cui il misfatto è nascosto. Dio fa spesso in modo che il peccato porti il peccatore, dopo avergli concesso del tempo per pentirsi, a rivelarsi involontariamente, senza che nessuno glielo chieda.

Canto VII

  • Chi viaggia lontano dalla sua patria vede talvolta cose straordinarie e insolite e quando le narra spesso non gli si crede, perché la gente crede solo a quel che vede e che tocca.

Canto VIII

  • Quante incantatrici e incantatori ci sono tra noi, che non si sa che lo siano! Che hanno fatto innamorare di sé con i loro trucchi uomini e donne. Non suscitano incantesimi ma con l’inganno avvincono i cuori. Chi avesse l’anello di Angelica, o magari quello della ragione, potrebbe vedere il viso di tutti privo di false apparenze. Quel viso che ci sembra bello e buono, eliminato il trucco ci apparirebbe brutto e malvagio.
  • L’eremita la confortò, con riflessioni edificanti, e mentre le parlava metteva le mani audaci ora sul seno ora sulle guance. Poi si spinse ad abbracciarla, e lei sdegnosetta lo respinse, tutta rossa in viso. Da una tasca lui trasse un’ampolla piena di un liquido di cui spruzzò una stilla nei suoi grandi occhi e la fece addormentare. Così giacque distesa sulla sabbia, in balia del vecchio rapace. Lui l’abbracciò e la toccò a suo piacere, poiché dormiva e non poteva opporre resistenza. Le baciò ora il bel seno, ora la bocca. Ma nell’incontro il suo destriero incespicò, poiché il debole corpo non rispondeva al desiderio, impotente perché troppo vecchio, e ancora più impotente quanto più più si affannava. Tentò tutte le vie e tutti i modi, ma quel vecchio pigro ronzino non saltava. Invano scosse il freno e lo spronò ma non riuscì a fargli tener la testa alta. Alla fine si addormentò vicino alla donna. Ma una nuova sciagura attendeva Angelica, perché quando la Fortuna comincia a tormentarci non lo fa mai per poco.
  • Benché essere donna sia un danno e una sciagura in ogni dove, qui si superava proprio ogni limite.

Canto IX

  • Che cosa non può fare Amore crudele, di un cuore che gli sia soggiogato, se ha potuto a Orlando togliere dal petto l’assoluta fedeltà dovuta al suo re? Prima così saggio e della santa fede difensore, ora a causa di un vano amore, poco si cura dello zio, di sé e ancor meno di Dio. Io purtroppo lo comprendo, e mi rallegro di avere un tal compagno: anch’io sono fiacco verso il mio bene, energico nel seguire il mio male.

Canto X

  • Donne, non ci sia più alcuna di voi che presti fede alle parole di un amante. L’amante, per ottenere quel che desidera, intesse una rete di promesse e giuramenti, che poi vengono tutti sparsi all’aria dai venti, appena si estingue l’avida sete che li accese. Siate restie a credere alle preghiere e ai pianti. Guardatevi da questi sbarbatelli, poiché presto nasce in loro e presto muore, come un fuoco di paglia, ogni loro desiderio… Non vi dico, per questo, di non lasciarvi amare, poiché senza amante sareste come una vite incolta, che non abbia un palo o una pianta a cui attaccarsi. Solo vi esorto a rifuggire gli sbarbatelli, volubili e incostanti, e a cogliere piuttosto frutti non acerbi e duri, che non siano però troppo maturi.
  • Qui l’infoiato cavaliere fermò il corsiero, scese nel prato e gli fece raccogliere le ali, ma non le fece piegare a un altro uccello che continuò a tenerle ben distese. Sceso dal destriero, Ruggiero si trattenne a stento dal salire su un altro cavallo. Lo frenò l’armatura, che bisognava pur togliere. Freneticamente cercò di togliersela, ma se scioglieva un laccio due si riannodavano. 

Canto XI

  • Benché spesso un freno anche leggero riesca a fermare un animoso destriero nel suo galoppo, è raro invece che il freno della ragione riesca a fermare una foia libidinosa, così come accade che l’orso ben difficilmente si allontani dal miele, dopo che ne ha sentito l’odore o ne ha gustato qualche goccia sull’orlo del vaso. Quale ragione poteva frenare Ruggiero con l’avvenente Angelica, che nuda era in suo possesso nel solitario bosco?
  • Povero soldato, restituisci alla fucina tutte le armi e mettiti in spalla un archibugio, perché senza non riceverai il soldo. Scellerata invenzione, per colpa tua la gloria militare è distrutta, il mestiere delle armi non ha più onore, il malvagio sembra migliore del buono, la gagliardia e il coraggio non possono più confrontarsi alla prova delle armi.

Canto XII

  • Tutti lo accusavano di furto a loro danno: uno era all’affannosa ricerca del destriero, un altro era arrabbiato per aver perso la donna, un altro lo accusava di altre cose. Così per settimane e mesi restavano lì, e non sapevano uscire da quest’inganno.
  • La voce che a Orlando era sembrata di Angelica sembrò a Ruggiero quella di Bradamante. A tutti quelli che vagavano nel palazzo sembrava di vedere quel che più bramavano.

Canto XIII

  • Guardando il mago, a tutti sembrava di vedere quello che ciascuno di loro desiderava, donna, compagno o amico. Tutti per il palazzo erano alla ricerca, con grande affanno e senza alcun risultato, ma era così grande il desiderio di trovare, che non se ne sapevano partire.

Canto XIV

  • Il divino corriere pensò a dove potesse trovare il Silenzio. Pensò di trovarlo presso ordini di frati e monaci di clausura dei monasteri, nei quali i colloqui sono proibiti, dove il silenzio è scritto e prescritto. Credendo di trovarlo lì, accelerò il suo viaggio, sicuro di trovarvi anche Pace, Quiete e Carità. Ma quando giunse al chiostro si accorse di essersi sbagliato: Silenzio non era lì, e gli dissero che non vi abitava più che per iscritto. Non poté vedere lì neppure Pietà, Quiete, Umiltà, Amore e Pace. Vi erano ben stati, ma in tempi remoti, poi Gola, Avarizia, Ira, Superbia, Invidia, Inerzia e Crudeltà li avevano cacciati. […] L’angelo fu sbalordito da una tale novità. Guardò con attenzione quella brutta schiera e vide che anche la Discordia c’era, quella che Dio gli aveva detto di trovare dopo il Silenzio.
  • La Frode gli rispose: -In passato era solito vivere in mezzo alle virtù, nei conventi con i Benedettini e con i Carmelitani. Trascorse molta parte della sua vita nelle scuole, al tempo di Pitagora e di Archita. Venuti meno quei filosofi e quei santi che sapevano tenerlo sulla retta via, passò dai comportamenti onesti alle azioni scellerate. Cominciò ad andare di notte con gli amanti, poi con i ladri a compiere ogni delitto. Trascorre molto tempo con il Tradimento e l’ho visto anche con l’Omicidio.

Canto XVI

  • Chi si trovi preso da vincolo d’amore, sebbene veda la sua donna ritrosa al suo acceso desiderio, purché abbia donato il suo cuore a donna degna, non deve piangere, anche se soffre. Deve piangere invece colui che sia divenuto schiavo di una donna dal cuore sprezzante, che abbia scarso candore e molta corruzione. Il poveretto vorrebbe fuggire, mentre invece come un cervo ferito, ovunque vada, porta con sé la freccia: ha vergogna di se stesso e del suo amore, e invano desidera risanarsi.

Canto XVII

  • Ma smettiamo ora di parlare di ira e di cantare di morte.

Canto XVIII

  • Fortuna volle riservare Dardinello a più famosa mano, poiché l’uomo di rado sfugge al suo destino.

Canto XIX

  • Nessuno può sapere da chi sia veramente amato, quando siede felice sulla ruota della Fortuna, perché ha di fianco a sé sia i veri che i falsi amici, che sembrano mostrare tutti la medesima fedeltà. Se poi la sua condizione cambia da lieta e fortunata a misera, la folla degli adulatori gli volta le spalle, mentre chi lo ama sinceramente gli rimane fedele.

Canto XX

  • Le donne, fin dall’antichità, hanno compiuto mirabili gesta e sono state in grado di eccellere in ciascuna arte cui si siano dedicate, ma i riconoscimenti loro dovuti, a causa dell’invidia o dell’ignoranza degli scrittori, sono stati spesso occultati. Nel nostro tempo emergono donne di tal valore da doverne di necessità parlar con lode.

Canto XXI

  • La fede alla parola data non dovrebbe mai venire meno, che sia data da uno solo o che sia data insieme da mille. Dovrebbe bastare l’aver promesso una sola volta, senza bisogno di giurare o di altre formalità.

Canto XXII

  • Ma non vi è segreto che possa restare tale, che a lungo andare non vi sia chi lo scopra. Se ne accorse uno, che ne parlò con altri due, e i due con altri finché la cosa fu riferita al re.

Canto XXIII

  • Ognuno si sforzi di giovare agli altri, poiché rare volte il far del bene è destinato a restare senza premio, e se resta senza premio almeno non te ne deriva morte, danno, ignominia. Chi nuoce agli altri, presto o tardi finisce per pagare il suo debito.

Canto XXIV

  • Chi cade nella vischiosa trappola d’amore, cerchi di uscirne per non restarne tutto invischiato. L’amore non è altro che pazzia. Sebbene non tutti diano di matto come Orlando, mostrano però la loro pazzia in altri modi. Qual è più manifesto segno di pazzia che quello di portare se stessi alla rovina per desiderio di un altro? Chi si attarda nell’amore, oltre alle pene di cui soffre, merita che gli si mettano i ceppi e le catene, perché è pazzo. Mi si potrebbe ben dire: -Fratello, tu vai mostrando l’errore agli altri, ma non vedi il tuo.- Io vi rispondo che sono in grado di comprendere molto, ora che ho un intervallo di lucidità, e cerco in tutti i modi tregua dai tormenti amorosi. Ma non posso agire subito come vorrei, perché il morbo è penetrato fino alle ossa.

Canto XXVII

  • Molte decisioni delle donne sono migliori quando prese all’improvviso, piuttosto che meditate. Questo è un dono speciale, tra i tanti elargiti loro dal cielo. Invece le decisioni degli uomini devono di necessità essere sorrette da un’attenta riflessione.
  • …l’uomo non può sfuggire al suo destino. Chi riesce a sfuggire a un pericolo incappa in un altro.

Canto XXVIII

  • …pensavano che fosse andato a Roma, mentre era andato a Corneto. Il fratello pensò che fosse addolorato per aver lasciato sua moglie sola, mentre al contrario lui era addolorato perché era rimasta troppo in compagnia.
  • L’incontinenza si può imputare alle donne, ma non a tutte. Ma in questo peccato chi di noi ha le colpe peggiori? Tra gli uomini non si trova uno solo che sia continente. Inoltre l’uomo dovrebbe vergognarsi, perché raramente, se non da uomini, vedo commettere peccati come la bestemmia, il furto, la frode, l’usura, l’omicidio e quant’altro possa esservi di peggio.-
  • Rodomonte non riusciva a evitare il suo pensiero fisso di Doralice e non se ne liberava, quel pensiero che gli era confitto in testa e dentro il cuore. L’infelice non vedeva il modo per difendersene, perché aveva il nemico in casa propria. Non sapeva da chi sperare pietà, se i suoi stessi sentimenti gli muovevano guerra.

Canto XXIX

  • O debole e instabile mente degli uomini! Come siamo pronti a cambiare proposito! Mutiamo tutti i nostri pensieri facilmente, soprattutto quelli che hanno origine da risentimento amoroso.
  • L’empio pagano sopportò a lungo con fastidio quel monaco temerario, poi gli disse invano che poteva tornarsene al suo deserto senza di lei. Il monaco lo contrastò a viso aperto e Rodomonte lo afferrò rabbiosamente al mento con la mano, strappandogli la barba. La furia di Rodomonte crebbe tanto che con la mano lo strinse al collo come con una tenaglia, e dopo averlo fatto ruotare attorno una o due volte, lo scagliò per aria lontano da sé in direzione del mare. Che cosa accadde di lui, non lo dico e non lo so: ci sono varie voci sulla sua fine ma non concordano.
  • Il crudele Rodomonte, dopo che si fu tolto di torno il garrulo eremita, si rivolse con il viso più sereno verso la donna afflitta e sbigottita, e le disse che lei era il suo amore, la sua vita, il suo conforto e la sua cara speranza, e altre parole simili.

Canto XXX

  • Quando si lascia che la ragione sia vinta dal cieco furore, che spinge a ferire gli amici con le mani o con la lingua, se anche poi si piange e ci si affligge, non per questo si pone rimedio all’errore. 
  • Nel duro scontro essi furono come torri sferzate dal vento o come scogli dalle onde. I tronconi delle lance salirono fino al cielo: Turpino, molto attendibile in questo punto, scrive che due o tre di essi tornarono giù accesi, perché erano saliti fino alla sfera del fuoco.

Canto XXXI

  • Ma se accade che l’infernale peste della gelosia infetti, ammorbi e avveleni una mente debole, anche se vengono gioia e allegria, l’amante non le cura e non le apprezza. Questa è la crudele e avvelenata ferita per la quale non serve medicina, non serve impiastro, né mormorio di magiche parole.

Canto XXXII

  • Amore deve rendere gentile un cuore villano, non rendere villano un cuore gentile.
  • E quello che non si sa non si deve dire, tanto meno quando altri fa soffrire.

Canto XXXIV

  • …solo la pazzia non c’è, né poca né assai, perché sta sulla terra senza andarsene mai.
  • Alcuni perdono il senno per amore, altri per gli onori, altri per cercare ricchezze, attraversando il mare, chi riponendo speranze nei potenti, chi dietro alle vane sciocchezze della magia, chi per i gioielli, chi per le opere dei pittori e altri per altre cose, che apprezzano più di ogni altra. Del senno di filosofi, di astrologi e di poeti ve n’era una gran quantità.

Canto XXXV

  • Se vuoi che la verità non ti sia nascosta, converti la storia tutta al contrario:
  • Io sono di tale valore, sono di tale nerbo, che non devi dispiacerti di andare sotto.-
  • Ella si volse, tornò verso Rodomonte, che aveva abbattuto, e con ironia disse: -Ora puoi vedere chi abbia perso e a chi di noi tocchi stare sotto.-

Canto XXXVI

  • Un animo nobile, ovunque si trovi, deve di necessità sempre essere cortese, perché diverso non potrebbe essere, in quanto per natura e per consuetudini ha adottato un comportamento che non è capace di cambiare. Analogamente, un animo villano, ovunque si trovi, sempre si mostrerà tale con evidenza. La sua natura lo inclina al male, e la consuetudine diviene difficile da cambiare. Si videro molti esempi, tra gli antichi guerrieri, di cortesia e di nobiltà d’animo, mentre sono pochi tra i moderni.

Canto XXXVII

  • Se le valenti donne si fossero impegnate negli studi letterari, che rendono immortali le virtù mortali, così come si sono date da fare in altri campi, se avessero potuto narrare da sé le loro imprese, senza bisogno dell’aiuto di scrittori invidiosi, la loro fama supererebbe quella degli uomini. Molti scrittori non vogliono che le donne primeggino e fanno di tutto per mettere in luce a tutti i costi i loro difetti.
  • Il popolo aveva fatto come fanno i più, che ubbidiscono a quelli che più odiano. Poiché l’uno non si fida dell’altro, e non osa confidare il suo desiderio di rivolta, lasciano che il tiranno li opprima. Ora quella folla, ricolma d’ira e d’odio, con atti violenti e con insulti cercava vendetta: come dice il proverbio, ognuno corre a far legna all’albero che il vento ha gettato a terra. Sia Marganorre esempio per chi governa, perché a chi male agisce tocca una brutta fine.

Canto XXXVIII

  • Se l’amante deve amare la vita dell’amato più della propria o altrettanto, al piacere che egli riceve deve anteporre il suo onore, perché l’onore ha maggior valore della vita, che a tutti i piaceri è preferita.

Canto XXXIX

  • Ah sfortunata plebe, che quando è utile al tiranno sei considerata quanto un gregge di pecore o di capre!

Canto XL

  • Omicidi, rapine, violenze alle persone trascinarono di colpo alla rovina quella ricca e potente città, che di tutta l’Africa era stata regina. Ovunque c’erano morti e il sangue aveva formato uno stagno più scuro e maligno dello Stige. Un vasto incendio ardeva palazzi, portici e moschee. Di pianti, di urla, di disperati lamenti risuonavano le case vuote e saccheggiate […] furono compiuti stupri e mille altri atti indegni, di buona parte dei quali Orlando e Astolfo vennero a conoscenza, ma non li poterono vietare.
  • Il saggio vecchio cercò di ridare al suo re la speranza di recuperare l’Africa, ma nel suo animo forse temeva il contrario: ben sapeva quanto si affanni e soffra chiunque perda il suo regno e ricorra all’aiuto di stranieri per riaverlo.

Canto XLI

  • Oh fallace opinione degli uomini! Sopravvisse la nave che doveva perire, quando il capitano e tutti i marinai l’ebbero lasciata. Sembrò che il vento mutasse parere, dopo aver visto ogni uomo fuggire…

Canto XLII

  • Quale duro freno, quale nodo di ferro, quale, se potesse esistere, catena di diamante potrà fare in modo che l’ira conservi ordine e misura, e non vada oltre il limite, quando si veda una persona profondamente amata subire disonore o danno mortale, con la violenza o con l’inganno? Se talvolta l’animo è spinto dall’impeto dell’ira a comportamenti crudeli e disumani, merita di essere scusato, perché in quel momento la ragione non ha potere né controllo sugli impulsi del cuore.

Canto XLIII

  • O esecrabile Avarizia, o ingorda fame di possesso, io non mi meraviglio che tu possa appigliarti a un animo vile e macchiato di altri peccati, ma che tu rechi legato con la stessa corda e che tu laceri con il medesimo artiglio qualcuno che, se avesse saputo evitarti, sarebbe stato degno di ogni onore. C’è chi studia la terra, il mare e il cielo, chi spiega le cause di ogni evento, di ogni fenomeno naturale, chi giunge tanto in alto da penetrare il pensiero di Dio, chi sbaraglia eserciti e dà grande prova di coraggio, ma non può evitare che tu lo tenga chiuso nel tuo cieco carcere. Che cosa mi toccherà poi dire di alcune gran dame che vedo arcigne, irremovibili e ostinate, di fronte alla bellezza, alla virtù e alla lunga devozione di fedeli amanti? Poi l’Avarizia subito può incantarle: in breve, senza amore le rende preda di un uomo vecchio, brutto, mostruoso.
  • Come Adamo dopo aver gustato il frutto precipitò dalla letizia al pianto, così l’uomo, se vuole sapere tutto della propria moglie, precipita dall’allegria al pianto.-
  • Rispondi alla tua padrona che sarà suo, ma non per oro, perché con l’oro non può comprarlo: se acconsentirà a farmi giacere con lei per una notte, avrà il cane, e ne potrà fare quel che vorrà”. Così disse, e le diede una gemma creata proprio allora dal cane, da mostrare alla sua padrona. Alla balia parve che la proposta fosse più vantaggiosa che pagare per il cane dieci o venti ducati. Tornò dalla padrona e gliela riferì, incoraggiandola a procurarsi il prezioso cane, perché poteva acquistarlo per un prezzo che non si perde a darlo.

Canto XLIV

  • Spesso nelle povere dimore e nelle modeste abitazioni, nelle sventure e nelle situazioni critiche gli animi si congiungono d’autentica amicizia, mentre non si può trovare amicizia, se non falsa, nelle corti principesche e nei sontuosi palazzi, pieni di insidie e di sospetti, dove l’amore per il prossimo è del tutto estinto. I patti e gli accordi fatti da principi e signori sono fragili: oggi re, papi e imperatori si alleano, ma domani saranno nemici mortali. Gli animi e i sentimenti non corrispondono alle apparenze, si curano solo del loro vantaggio, senza guardare al torto o alla ragione. Principi e signori, benché poco capaci di amicizia, perché essa non si trova dove non si parla mai senza fingere, se la fortuna avversa li conduce a trovarsi insieme in un modesto luogo, in breve tempo possono conoscerla.

Canto XLV

  • Quanto più vedi il misero uomo salire in alto sulla volubile ruota della Fortuna, tanto più presto lo vedrai precipitare. Così, al contrario, quanto più un uomo è abbattuto, quanto più è sul fondo della ruota, tanto più si trova vicino a risalire. Dagli esempi di cui sono ricche le storie antiche e moderne, si vede che il bene si succede al male e il male al bene, e si avvicendano l’uno all’altro il biasimo e la gloria. Perciò, non è opportuno per gli uomini essere sicuri delle proprie ricchezze, del proprio regno, delle proprie vittorie, ma neppure disperarsi per la Fortuna avversa, perché essa volge sempre in giro la sua ruota.

Canto XLVI

  • Per una, per due, per tre volte, Ruggiero sollevò in alto il pugnale e glielo immerse nella fronte. Alle squallide rive di Acheronte, liberata dal corpo più freddo del ghiaccio, bestemmiando fuggì l’anima superba di Rodomonte, che era stata contro tutti tanto orgogliosa e sprezzante.